11 Settembre. Nascita, crescita e (non) morte dell’era del terrorismo

Raramente la Storia permette, a chi la studia, di cogliere quegli attimi, quegli istanti precisi dai quali si può affermare, da lì in avanti, la Storia è cambiata.
Sono le 8:46 dell’11 settembre 2001, Manhattan, New York. Quell’ora di quel giorno, rappresenta una finestra su un nuovo mondo, una nuova politica internazionale e una nuova realtà. Gli Stati Uniti d’America, vincitori della Seconda guerra mondiale e superpotenza trionfante della Guerra Fredda, sono per la prima volta nella loro storia attaccati direttamente e platealmente sul suolo nazionale: il responsabile? Al-Qaeda. Le conseguenze? Una guerra ventennale conclusasi in questi giorni in maniera quantomeno discutibile.
Sarebbe tuttavia ingiusto e sbagliato limitare le considerazioni sugli attentati dell’11 settembre a quelle di casus belli della guerra in Afghanistan, scoppiata il 7 ottobre 2001, con l’invasione statunitense del Paese. Innanzitutto, non bisogna sottovalutare il valore simbolico dei bersagli degli attentati: il World Trade Center (e in particolare le celebri Torri gemelle), immagine della supremazia economica americana; il Pentagono, simbolo e sede del ministero della difesa statunitense, la Casa Bianca (l’aereo fu però fatto precipitare prima che potesse raggiungere l’obiettivo), rappresentazione del potere politico per antonomasia. Gli attentati dell’11 settembre fecero immediatamente realizzare a tutto il mondo non solo come l’America fosse attaccabile, ma come fosse addirittura possibile farlo nel cuore pulsante della loro nazione. Al-Qaeda, nato in Afghanistan nel 1979 in seguito all’invasione sovietica e inizialmente supportato economicamente dagli USA, rivendicava ora la volontà di cacciare gli statunitensi dal Medio Oriente.
La reazione statunitense ebbe, nell’immediato, due obiettivi espliciti: vendicarsi direttamente nei confronti di Al-Qaeda, eliminando l’Emirato islamico che si era instaurato in Afghanistan, responsabile degli attentati, e ribadire con forza l’integrità della sicurezza internazionale garantita dagli USA.
Sono trascorsi 20 anni e nulla è cambiato per l’Afghanistan, o meglio, quasi nulla: il 31 agosto 2021 i talebani hanno ridato vita all’Emirato islamico afghano, la capacità statunitense di garantire la stabilità sociopolitica, in aree storicamente calde, è stata fortemente messa in discussione. Un prezzo, però, l’Afghanistan l’ha pagato. Vent’anni di conflitto armato richiedono un costo altissimo, che come sempre è stato pagato dai civili. Oltre 300mila uomini, donne e bambini sono morti, molti dei quali vittime di attentati perpetrati ai danni di soldati da parte dei talebani, capaci di riorganizzarsi nell’indifferenza generale.
Questo è l’enorme prezzo della guerra asimmetrica, un conflitto non tradizionale che fa della guerriglia e degli attentati l’arma più pericolosa; che colpisce in modo indifferente civili e militari, anziani e bambini, colpevoli e innocenti. Le immagini dell’attacco alle Torri gemelle sono tuttora considerate come il simbolo dell’attacco all’Occidente da parte del terrorismo islamico. Rappresentano l’inizio di un’era contrassegnata da una costante allerta internazionale nei confronti dell’estremismo violento da parte di tutti gli Stati occidentali.
Alle 10:28 dell’11 settembre 2001 le Torri gemelle implosero, avvolgendo il World Trade Center in una nuvola di polvere, e il mondo in una nube di paura e sconcerto. Quasi come per una strana coincidenza, a vent’anni di distanza dal giorno che ha plasmato la Storia contemporanea, quella coltre di paura torna ad avvolgere un Occidente che, mai come ora, sembra disinteressarsi dei diritti inalienabili del popolo afghano.

Non posso concludere senza aver prima fatto riferimento alle donne: moltissime donne americane persero la vita l’11 settembre, tante più persero i loro famigliari o amici, nel giorno che, per citare le celebri parole di Franklin Delano Roosevelt, presidente dal 1933 al 1945, può essere ricordato come “il giorno dell’infamia”, durante il quale l’America venne, per la prima volta nella Storia, attaccata e resa debole agli occhi del Mondo. Tuttavia, ritengo fondamentale citare anche la sofferenza delle donne afghane che, se mi è concesso dirlo, è duplice, poiché, se hanno dovuto sopportare anni di guerra nell’attesa, nella speranza di un futuro migliore e degno d’essere vissuto (un futuro che molte donne non hanno mai conosciuto), in pochissimi mesi – da maggio ad agosto – le donne afghane hanno perso il diritto di studiare, di conoscere, di pensare. Si potrebbe dire che hanno perso il diritto di vivere la loro vita.
Sono passati vent’anni dall’11 settembre 2001. Si parla quasi unicamente delle vittime degli attentati: certo, quel giorno morirono complessivamente 2966 persone, ma le conseguenze di quel folle gesto hanno causato, in vent’anni, la morte di oltre 370mila donne, uomini e bambini.


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