La Torre e Dalla Chiesa, i primi martiri di Cosa Nostra

Il coraggio, le battaglie e il sacrificio di due uomini simbolo della lotta alla mafia

È vero che la mafia non esiste solo al sud, ma è lì che nasce ed è da lì che dobbiamo partire per capirne la storia, le radici e il modus operandi. Sarà Palermo il focus su cui convergerà queste serie di approfondimento che mira ad andare un po’ oltre le facce sconce di Cosa nostra, le dicerie sui sicari, i racconti sulle borgate e le spettacolarizzazioni del sangue.

I protagonisti di questa serie sono Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, due uomini che nella Palermo del 1982 hanno provato a contrastare la presenza parassitaria della criminalità organizzata. Le loro storie, come molte altre di mafia, non sono solo siciliane, ma italiane, poiché essi non operarono solamente a Palermo, ma su tutto il territorio nazionale apportando, oltretutto, modifiche alla legislazione italiana. Facciamo un passo indietro e conosciamo Pio La Torre: nato nel 1927, già in adolescenza matura il suo interesse per la giustizia sociale e si impegna a combattere per i diritti dei più deboli. A soli ventidue anni si cimenta nelle battaglie della Confederterra, della CGIL e partecipa alle proteste contadine, venendo arrestato durante quella del 10 marzo 1950.

La Torre viene incarcerato per un anno e mezzo. Uscito di prigione nel 1952, viene eletto nel consiglio comunale di Palermo ed entra nel Comitato centrale del PCI. Nel 1969 si trasferisce a Roma e diventa membro della Commissione Parlamentare Antimafia, qualche anno più tardi, nel ‘72, entra a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. Pio La Torre non ha paura di fare nomi e cognomi, nel ‘76 pubblica un rapporto nel quale mette in luce i legami tra la mafia e importanti uomini politici della Democrazia Cristiana, a cui allega una proposta di legge: “Disposizioni contro la mafia”, che si proponeva di introdurre il reato di associazione mafiosa punibile con una pena da tre a sei anni per i membri e sanciva l’obbligatoria confisca dei beni direttamente riconducibili alle attività criminali perpetrate dagli arrestati. Nel 1981 Pio La Torre decide di tornare in Sicilia, in un momento storico in cui la strategia mafiosa di intimidazione dei rappresentanti dell’antimafia era al massimo fulgore: era il periodo dei delitti eccellenti di Palermo come quello del presidente della Regione Piersanti Mattarella, del procuratore Costa e del consigliere istruttore Terranova. La Torre era una persona attentamente monitorata dai servizi segreti nazionali perché il contesto in cui si muoveva non era solo siciliano, era internazionale, ampio e molto pericoloso, ma lui ci si destreggiava con maestria, si potrebbe quasi azzardare che il movente fosse proprio la sua capacità di tradurre ciò che accadeva in Sicilia, nella politica dei palazzi romani e internazionali.

Tutti i suoi propositi furono bruscamente interrotti una mattina del 1982. Era il 30 aprile, nove del mattino, quando Pio La Torre e Rosario Di Salvo, suo collaboratore, vennero assassinati mentre stavano raggiungendo in auto la sede del partito. Due moto di grossa cilindrata affiancarono l’automobile e spararono al suo interno, uccidendo sul colpo Pio La Torre, mentre Di Salvo, in tentativo di difesa, fece appena in tempo a estrarre la pistola e sparare qualche colpo. Giuseppe Lucchese, Nino Madonna, Pino Greco e Salvatore Cucuzza sono gli autori materiali dell’omicidio e, dalle rivelazioni di quest’ultimo diventato poi collaboratore di giustizia, è stato possibile ricostruire il quadro dei mandanti dell’eccidio, identificati nei boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci. Ciò a conferma del fatto che è stato l’impegno antimafia di La Torre a determinarne la condanna a morte.

Il 30 aprile del 1982, giorno della scomparsa di La Torre, si insedia a Palermo il secondo protagonista di questa serie, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Facciamo nuovamente un passo indietro e torniamo all’8 marzo, quando La Torre chiede un incontro con il capo di governo Giovanni Spadolini, a Roma, per domandare il supporto di un prefetto a Palermo vista la tensione che si respirava in città dopo i delitti eccellenti. L’arrivo del prefetto Dalla Chiesa era previsto per il 5 maggio 1982, ma venne anticipato al 30 aprile poche ore dopo l’assassinio di La Torre: l’evento era particolarmente atteso vista la sua fama.

Dalla Chiesa iniziò la sua carriera militare prestissimo: già a ventidue anni, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, entra nell’esercito. Opera nella resistenza italiana nelle Marche, poi si trasferisce in Campania per poi ricoprire incarichi tra Firenze, Como e la Sicilia. Nel 1973 si occupa di contrastare il crescente numero di episodi di violenza portati avanti dalle Brigate Rosse. Il 6 aprile dell’82 viene nominato prefetto a Palermo, dove si insedia il 30 aprile: Dalla Chiesa resisterà in città per circa 120 giorni, abbandonato dallo Stato ed escluso da ogni manifestazione di supporto o solidarietà. Il generale aveva ottenuto ottimi risultati con le Brigate Rosse e la speranza del governo era che potesse avere gli stessi esiti con Cosa nostra, ma la carenza di sostegno da parte dello stato e l’isolamento totale in cui viveva, hanno lasciato intendere ai criminali mafiosi che lui fosse solo e che le istituzioni stessero guardando da un’altra parte. Il 3 settembre dell’82, quindi, anche la vita di Carlo Alberto Dalla Chiesa viene stroncata da una sparatoria che coinvolge lui, la moglie Emanuela e l’autista nonché agente di scorta, Domenico Russo. Non rimase a lungo nella memoria collettiva l’omicidio di Dalla Chiesa, ma è stato comunque determinante per la storia politica e sociale italiana: sette giorni dopo l’uccisione del prefetto il Parlamento italiano approva quella legge sull’associazione mafiosa e sui beni confiscati, che non aveva approvato nemmeno dopo l’uccisione di La Torre e, nondimeno, con il suo assassinio nasce l’antimafia moderna. Questo omicidio segna, inoltre, la fine di un’epoca per la criminalità organizzata: il delitto di Dalla Chiesa è infatti un boomerang sia per le organizzazioni mafiose sia per quei poteri che con la mafia hanno sempre avuto rapporti. In questo episodio abbiamo parlato di due uomini che hanno provato, con le loro battaglie, a scoprire i meccanismi e smascherare i volti che appartengano a quella società marcia che tenta di avvelenare la collettività. Hanno avuto coraggio La Torre e della Chiesa e altrettanto ne hanno avuto le persone che li hanno accompagnati in queste lotte, tentando, insieme, di buttare giù il muro apparentemente inscalfibile della criminalità organizzata.


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