Non da soli

Qual è il ruolo dell’arte per farci sentire compresi?

Circa una settimana fa ho finito il romanzo “Le otto montagne” di Paolo Cognetti, vincitore del premio strega 2017. Lo avevo inizialmente approcciato con superficialità, a causa di un brutto pregiudizio che mi porta a vedere le opere vincitrici di premi come elementi di seconda categoria (bastian contrario fino alla fine). Sono stato estremamente contento di sbagliarmi. Mi piacerebbe perciò condividere con voi la riflessione scaturita in me a seguito della lettura di questo testo, la quale ha a che vedere con il mio personale concetto di arte.

Sono fermamente convinto che letteratura, musica, cinema, teatro e qualsiasi altro veicolo di espressione artistica, non vengano apprezzati solo in quanto entità estetiche, bensì penso che il destino principale di tutti questi media risulti nel creare comunanza fra le persone che di essi possono godere. Per quanto io possa sentirmi solo ed angosciato so che, nel mondo, esiste qualcuno che è stato capace di redigere una storia nella quale io mi sono sentito compreso, pur non essendo direttamente coinvolto. Una storia grazie alla quale la mia solitudine si è avvicinata a quella dei tanti che si sono trovati a dover lottare contro il silenzio che li circondava e ne scavava la personalità: la realtà dell’autore è divenuta la mia e viceversa; abbiamo condiviso gli stessi spazi e attraversato le stesse esperienze, anche se in luoghi e in tempi differenti.

Lo scrittore parmense Paolo Nori sostiene che la valenza di uno spettacolo teatrale la si possa scovare nell’abilità con cui questo riesce a trasformare il pubblico in una “bestia sola”, che reagisce all’unisono rispetto a ciò che viene rappresentato. Credo sia possibile applicare un simile discorso ad ogni forma d’arte. Riuscire a catturare e legare insieme le coscienze di una moltitudine sparsa di individui è ciò che di più grandioso un’opera è in grado di ottenere. Noi, prima di una storia, condividiamo una condizione: quella umana, e quando questa viene rivendicata in quanto nostra appartenenza, sentiamo di poterci trasformare in un organismo plurimo, che, anche se solo per qualche istante, trascende l’individualità di ciascuno e ci rende pienamente consapevoli del ruolo di complementarità che gli altri rivestono all’interno delle nostre vite.

È questo il grande potere dei media artistici: farci percepire che il tutto è maggiore dell’insieme delle parti, e che, anche quando ci sforziamo di credere il contrario, non siamo mai lasciati del tutto a noi stessi.

Una bambola di sale viaggiò sulla terra per migliaia di chilometri, finché arrivò finalmente al mare. La bambola rimase affascinata da quella strana massa in movimento, completamente diversa da tutto ciò che aveva visto prima. “Chi sei?” chiese la bambola di sale al mare. Il mare, sorridendo, rispose: “Entra e vedrai”. Così la bambola entrò, e più camminava nel mare, più si scioglieva, finché rimase ben poco di lei. Prima che l’ultimo pezzetto si sciogliesse, la bambola esclamò stupita: “Ora so cosa sono!” (de Mello, 1986).

de Mello, A. (1986). Il canto degli uccelli. Roma: Paoline Editoriale Libri.


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