Taglio dei parlamentari, quali sono le conseguenze di questa riforma?

Analisi del disegno di legge recentemente approvato e paragoni con la tentata riforma del 2016

L’8 ottobre 2019 viene approvato alla Camera il DDL che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, con il voto pressoché unanime delle principali forze politiche attuali: M5S, PD e Lega. Al contempo, la Riforma è duramente criticata da quanti (in prima linea +Europa con Emma Bonino) lo hanno definito una “mutilazione” alla nostra Carta Costituzionale, addirittura “eversivo nelle aspirazioni” (Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera).

A fronte di così pesanti accuse, c’è da chiedersi quali conseguenze abbia effettivamente il “taglio” sull’ assetto ordinamentale e democratico del nostro Paese.

Odierno cavallo di battaglia del M5S, in Italia non è certo la prima volta che tale progetto approda nelle aule del Parlamento: l’ultimo e più recente tentativo si era arenato a causa del referendum del 4 dicembre 2016, che bocciava la Riforma e contemporaneamente stroncava l’esecutivo di Matteo Renzi. Al tempo, la previsione del “taglio” era stata inserita in un disegno di più ampio respiro, che, tra l’altro, mirava principalmente ad una ridefinizione del ruolo del Senato, nell’ottica di superare il bicameralismo paritario e a snellire il procedimento legislativo ordinario. La ratio risiedeva fondamentalmente nella considerazione per cui le inefficienze del meccanismo di legiferazione avevano permesso al Governo di esautorare il Parlamento dalla sua fisiologica funzione legislativa, che andava ad esso attribuita. Dunque la Riforma Renzi-Boschi, seppur ampiamente criticata anche da illustri costituzionalisti, andava nel senso di inserire il “taglio” in un progetto quantomeno ben strutturato.

Attualmente, il documento approvato si limita a portare da 630 a 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 quello dei senatori. Un testo veramente stringato dunque, due facciate appena, per una Riforma di così notevole impatto.

Ed è proprio sul punto del contesto in cui tale Riforma si inserisce, che cade la critica di Emma Bonino: “Sono contraria a questo “taglio”, perché la riduzione del numero di deputati e senatori dovrebbe, come minimo, tenere conto dei criteri di rappresentatività politica e territoriale […] Inoltre, dovrebbe seguire e non precedere la riforma del bicameralismo paritario, che è uno dei problemi irrisolti del nostro sistema istituzionale. Invece, qui si parte dal taglio degli eletti, senza badare alle conseguenze che un simile taglio comporterebbe.” (da un’intervista rilasciata a Linkiesta).

Dunque, il timore è che la totale decontestualizzazione della Riforma incida sull’ assetto democratico del nostro Paese in modo irrimediabile, compromettendone il carattere della rappresentatività. Ciò significa maggior difficoltà per chi è eletto (e rappresenta un bacino molto ampio di cittadini) di fare sintesi tra gli interessi cui è tenuto a dar voce e minor tutela per le minoranze.

Le criticità appena individuate potranno essere superate principalmente e innanzitutto attraverso una legge elettorale adeguata, che salvaguardi il pluralismo politico e territoriale, per cui si auspica un celere avvio dei lavori nell’ottica di riequilibrare questo temuto deficit democratico. La questione è tecnicamente complessa e di notevole rilevanza sotto il profilo politico.

Una considerazione conclusiva va infine rivolta a quello che è il tema dei risparmi.

Le cifre possono invero apparire quasi deludenti: secondo Carlo Cottarelli (direttore OCPI) si produrrebbe un risparmio di circa 57 milioni l’anno, pari allo 0,007% della spesa pubblica. Costantino Ferrara (vicepresidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone), dal Sole 24 ore, fa una stima del seguente tenore: “[Si tratta di] una cifra minima rispetto ai circa 975 milioni di costo della Camera dei deputati e ai 550 circa di costo del Senato. E ancor più irrisoria se si pensa ai numeri di una manovra economica o, per citare un provvedimento, al reddito di cittadinanza, stimato inizialmente in 9 miliardi di euro di costo, poi scesi a 7. Quindi, richiamando in ballo la matematica, i 60 milioni di euro che si risparmiano tagliando i parlamentari, paragonati ai 7 miliardi del reddito di cittadinanza, rappresentano lo 0,8%.”

Dunque, i numeri certo non rispondono alle previsioni del M5S, né verosimilmente alle aspettative degli italiani. Insomma, più di una voce autorevole anche in campo economico si è espressa in senso sfavorevole al “taglio”, parlando di “specchietto per le allodole”, di “demagogia”. L’argomento trattato è indiscutibilmente caro all’opinione pubblica, molto ricettiva quando si parla di “poltrone”, certamente delusa da una politica che, anche in passato, non sempre ha saputo conferire al Parlamento la dignità che a tale Istituzione i Padri Costituenti avevano riservato.

In ogni caso, in fondo non possiamo negare che una risposta, sebbene incompleta e parziale, dalla classe politica attuale l’abbiamo avuta.

Alla luce di quanto esposto, senza la pretesa di essere esaustivi, fondamentale è, a parere di chi scrive, che i cittadini non smettano mai di pretendere da chi hanno votato, che gli eletti siano 945 o 600, responsabilità, trasparenza, onestà, rispetto per i valori fondanti della nostra Costituzione. Le scelte della politica riguardano tutti, da vicino: non abbiamo il diritto di disinteressarcene.


,