Silvio Berlusconi: il 1994 dell’uomo del piccolo schermo

La strategia di Forza Italia e le motivazioni storiche del cambiamento

Quale miglior nome si potrebbe dare a un partito se non “Forza Italia”, in un Paese che nell’anno delle prime elezioni con il Mattarellum si accingeva a giocare i mondiali di calcio a stelle e strisce sotto la guida di Arrigo Sacchi? Nessuno, in effetti.

Il 1994 è stato l’anno di Silvio Berlusconi che, vincendo le elezioni, ha aperto la stagione della Seconda Repubblica, seppur solo nella categorizzazione storica della politica italiana e non in termini di cambio di assetto istituzionale, come ricorderebbero gli esperti. Ma come si è arrivati a questo esito?

Non è necessario dilungarsi rispetto a quanto accaduto nei due anni precedenti, per altro spiegato magistralmente e in maniera esaustiva da parte degli altri autori, in cui le inchieste di Tangentopoli e le bombe del 1993 lasciavano come strascico un sistema politico completamente deflagrato, con la frantumazione della Democrazia Cristiana e l’azzeramento del Partito Socialista, caduto sotto i colpi delle inchieste assieme al suo leader carismatico Bettino Craxi.

Ma veniamo alla strategia che ha portato Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, ribaltando lo scenario di quella che sembrava una strada ormai spianata verso la vittoria per il PDS di Achille Occhetto e la coalizione dei progressisti. Questa è stata duplice, di tipo sia politico che mediatico.

Dal punto di vista politico, contrariamente a quanto si pensa, la vera e propria “discesa in campo” del Cav. non corrisponde al celebre incipit: «l’Italia è il Paese che amo…» del messaggio preregistrato e lanciato a reti unificate il 26 gennaio 1994, ma va fatto risalire a qualche mese prima. Nel novembre 1993, in occasione dell’inaugurazione dell’Euromercato Standa nel centro commerciale di Casalecchio di Reno, Berlusconi dichiara apertamente il suo sostegno, non certo casuale, a Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma. Una mossa politica, questa, che di fatto “istituzionalizzò” definitivamente i missini, che si stavano già lasciando alle spalle la loro vecchia connotazione dando vita ad Alleanza Nazionale con la Svolta di Fiuggi, riconoscendoli a tutti gli effetti come potenziali alleati di governo. L’alleanza tra Forza Italia e AN si concretizzò infatti proprio in occasione delle elezioni politiche del ‘94, con il Polo del Buon Governo nei collegi elettorali del centro-sud. L’altra faccia della medaglia riguarda il netto obiettivo dichiarato da Berlusconi per Forza Italia, ossia quello di attirare quell’elettorato di centro e centrodestra rimasto completamente orfano dopo la deflagrazione dei partiti tradizionali della Prima Repubblica. Tutto ciò riuscì anche grazie alla campagna elettorale decisamente muscolare e polarizzante contro “il pericolo che gli eredi del Partito Comunista Italiano prendessero il potere”, oltre all’intuizione di allearsi nei collegi del nord con uno dei nuovi attori politici che solo pochi anni prima aveva ottenuto un inaspettato successo elettorale, preludio di quanto sarebbe poi accaduto: Umberto Bossi e la sua Lega Nord.

Approfondendo invece l’aspetto mediatico, è bene specificare che l’avvento di nuovi strumenti è sempre stato foriero di grandi novità, soprattutto nella comunicazione politica. Se i social network hanno reso possibile l’affermazione di partiti “liquidi” rispetto a quelli tradizionali e della figura del politico “pop” decisamente meno sobrio e istituzionale, anche la televisione in quegli anni giocò un ruolo determinante. Berlusconi, infatti, proprietario delle tre reti televisive private, prima sotto l’egida di Fininvest e successivamente Mediaset, spadroneggiava e conosceva il funzionamento di un media e di un livello comunicativo pressoché inesplorato dalla politica tradizionale, che fino ad allora si era limitata ai quotidiani e alle tribune politiche in onda sulla tv pubblica. Davvero simbolici in questo frangente divennero i messaggi di propaganda elettorale, nemmeno troppo velata, a favore di Berlusconi e Forza Italia inseriti all’interno delle trasmissioni Fininvest.

Un’ultima riflessione è opportuno farla rispetto alle reali motivazioni che portarono Berlusconi a scendere in campo, analizzando anche il contesto sovranazionale che ha condizionato il nostro assetto politico. A più riprese abbiamo letto che l’entrata in politica del Cavaliere è stata resa necessaria per difendere in prima persona le proprie aziende dal rischio che le inchieste portate avanti dal pool di Mani Pulite le travolgessero esattamente come accaduto con altri grandi gruppi industriali italiani e con il vecchio potere politico. Questa tesi è senz’altro suffragata dai fatti, e lascia spazio a un ulteriore interrogativo: il cambiamento dello scenario politico italiano sarebbe avvenuto ugualmente, anche senza le inchieste e l’avvento di Forza Italia?

Non esiste una risposta precisa, ma è importante sottolineare che con il crollo del Muro di Berlino e, conseguentemente, del regime sovietico, venne meno sia il senso storico dell’esistenza del Partito Comunista Italiano che della controparte democristiana, quantomeno nella sua componente elettorale puramente a scopo anticomunista e tutt’altro che trascurabile in termini di peso politico. Basta quindi riflettere su questi due aspetti per rendersi conto che, in ogni caso, un’ampia fetta di elettorato si sarebbe ritrovata in qualche modo orfana delle proprie appartenenze, creando un vuoto che, come sappiamo, in politica prima o poi viene colmato. Se leggiamo il contesto in questi termini la valutazione, che va specificato è del tutto personale, è che l’avvento di Berlusconi e di Forza Italia sia stato soltanto un acceleratore di un cambiamento che, come prima specificato, si sarebbe comunque concretizzato.