Il sistema pensionistico in Italia: che cosa ci aspetta?

Quanti di noi si sono mai posti la domanda: «chissà se andremo in pensione», oppure: «chissà con quanto andremo in pensione»? Ora ne pongo una io: tu che stai leggendo, hai mai approfondito l’argomento?

Sicuramente ti sarà capitato un sacco di volte di affrontarlo con qualcuno, magari arrivando addirittura a discuterne. Ma parliamoci chiaro; siamo veramente sicuri di sapere quello che ci aspetta?

Con questo articolo voglio cercare di entrare nel dettaglio, e mostrare qualche numero, sul futuro previdenziale che ci aspetta. Dividerò la questione in 3 ambiti:

Il problema dell’anzianità in Italia
Lo stato che chiede aiuto
Affrontare individualmente il problema delle pensioni

IL PROBLEMA DELL’ANZIANITÀ IN ITALIA

Partirò con un esempio molto semplice e attuale.
Immaginatevi alle vostre feste di Natale (quest’anno particolari ma sempre belle, e colgo l’occasione per augurarvi un buon anno). Voi e i vostri parenti siete tutti insieme a tavola, e sicuramente, avendo un bel piatto di tortellini davanti agli occhi, non avete mai pensato di guardarvi intorno e pensare all’età media che c’è nella stanza; ora che state leggendo provate a fermarvi e a pensare a quale possa essere più o meno l’età media tra cugini, zii, nonni, fratelli/sorelle, nipoti ecc…; io non sono un mago ma sicuramente vi sarete accorti che è abbastanza alta, e l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), nel censimento del 2019, ha confermato che l’età media in Italia si attesta a 45 anni, il terzo paese più vecchio al mondo dopo Germania e Giappone.

Se tu che stai leggendo vieni dalla Campania, dal Trentino o dalla Sicilia allora ti “salvi” con una media di 42/43 anni. Pensate che nel 1951 l’età media era di 32 anni. Si avete letto bene, 32 anni nel 1951 e 45 anni nel 2019.

Ora non spaventatevi troppo, questi dati possono essere letti anche in chiave positiva da un aumento delle aspettative medie di vita, ma sicuramente è gravato anche da un grosso problema italiano: il crollo della natalità. Prendiamo nuovamente il 1951 come anno base, in cui il numero di anziani per nato era meno di uno; nel 2019 il numero di anziani per nato è cinque. Basti pensare a quanti fratelli/sorelle abbiano in più i nostri genitori o nonni rispetto ai figli (se ci sono) dei giovani adulti che siamo abituati a conoscere.

E se dobbiamo guardare alcuni fattori che sono riusciti a “contenere” questi numeri bisogna sicuramente citare l’immigrazione dall’Africa, che a partire dagli anni ’80 si è sempre più ingigantita, arrivando ad essere insostenibile in modo autonomo ai giorni nostri, ma questa è un’altra storia.

Gli effetti positivi dell’immigrazione, per quanto riguarda la vecchiaia, impattano sull’età media (34 anni nel 2016) e il tasso di fertilità delle donne, che ad oggi è poco meno di 2,4 figli per donna, uguale a quello delle donne italiane nel 1969, ma il doppio rispetto a quello odierno (fonte: I Sette Peccati Capitali dell’Economia Italiana – Carlo Cottarelli).

Se oltre a guardare al passato proviamo a fare un salto in avanti, secondo l’ISTAT l’età media della popolazione italiana arriverà a 50 nel 2065, nonostante il continuo aumento degli immigrati, dovuto anche da un continuo allungamento nelle aspettative di vita. Allora qui i problemi si fanno veramente gravi per le casse dello stato italiano.

LO STATO CHE CHIEDE AIUTO Ora rilassiamo un attimo la mente da tutti questi numeri e proviamo a guardarci intorno per capire il vero motivo di questo articolo. Questi cambiamenti demografici stanno sferrando un duro colpo allo Stato italiano, colpendo non poco il sistema pensionistico di oggi e del futuro.

Fino al 31 dicembre 1995 in Italia vigeva il sistema pensionistico retributivo, ovvero un sistema in cui la pensione, per coloro che fino a quella data avevano versato almeno diciotto anni di contributi lavorativi o per coloro che erano già in pensione, risultava come la media degli ultimi cinque anni di retribuzione lavorativa (considerati invece gli ultimi dieci anni di retribuzione dal 1992 al 1995 con la legge Amato). Non servo io a far capire che normalmente gli ultimi anni di lavoro sono quelli più remunerativi perché caratterizzati dalla crescita professionale e lavorativa fatta durante la vita. Questo sistema ha portato un grosso squilibrio alle casse dello stato italiano tra contributi lavorativi versati (entrate per lo stato) e pensioni concesse (uscite).

Cercando di far fronte a questo problema, l’8 agosto 1995 (entrando ufficialmente in vigore il 1° gennaio 1996) avvenne una rivoluzione nel sistema di calcolo con la riforma Dini, con la quale si passò dal sistema retributivo al sistema contributivo, presente tutt’ora, e famosa per il cosiddetto “patto intergenerazionale”.

So che quest’ultima parola risulta un po’ difficile da tradurre, ma per far capire il concetto: la nostra pensione dipenderà dai lavoratori del futuro (com’è sempre stato) ma con la differenza che risulterà (se va bene) pari alla media dei nostri contributi versati durante il corso della nostra vita. La pensione deriva da un calcolo che moltiplica il montante dei nostri contributi per un coefficiente pensionistico che con gli anni stanno abbassando sempre di più, oltre che ad aumentare l’età contributiva e di anzianità per andare in pensione, misure necessarie per cercare di riequilibrare i conti (per i più curiosi se cercate “tabella coefficienti di trasformazione del montante pensionistico” vedrete i vari moltiplicatori in base all’età).

Esiste anche una via di mezzo: il “sistema misto”, che comprende la maggior parte dei nostri genitori, la cui pensione verrà calcolata sia tramite il sistema retributivo, in base ai contributi versati fino al 31 Dicembre 1995 (purché gli anni di versamento dei contributi siano minori di 18 ), sia tramite il sistema contributivo per gli anni che vanno dal 1996 all’età di anzianità contributiva.

Ma se con il censimento del 2019 vi erano cinque anziani per ogni bambino nato, nel 2050 quanti ce ne dobbiamo aspettare? Bella domanda! Sicuramente i numeri non sono dalla nostra parte. Se diminuiscono le nascite dopo un po’ diminuirà anche il numero degli occupati? Si, a meno che non aumenti il numero degli immigrati in età lavorativa. Quindi la nostra pensione dipenderà anche dall’andamento dell’economia in Italia? Si, perché se il lavoro diminuisce o aumenta ne seguono a ruota i contributi lavorativi e le pensioni. Facendo una proporzione tra le maggiori spese mediche che seguono l’anzianità, un sistema sanitario che da pubblico si sta spostando sempre di più verso quello privato, e le pensioni sempre minori, riusciremo di questo passo a vivere un’anzianità serena?

La situazione venne resa chiara dall’INPS (Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale) quando nel 2016 decise di inviare la famosa “busta arancione” ad ogni lavoratore italiano che versa i contributi allo stato, in cui li ha informati a quanto ammonterà la loro pensione e l’età di pensionamento prevista. Che letta da un altro punto di vista ti diceva senza mezzi termini: organizzati la pensione per gli affari tuoi!

AFFRONTARE INDIVIDUALMENTE IL PROBLEMA DELLE PENSIONI

Qua entra in gioco il nostro buon senso: siamo disposti a risparmiare qualcosa oggi per la nostra pensione di domani? Molte volte siamo così presi dal “tutto e subito” che non ci accorgiamo di quanto sia importante cercare di pensare oggi al nostro futuro. Semplicemente perché non è palpabile.

E questo non per colpa nostra, ma della poca informazione che poi ci influenza nel fare scelte e soprattutto della non tangibilità della stessa, ovvero: non li sto risparmiando per qualcosa di oggettivo ma per il mio futuro. Paradossale da dire.

E ora facciamo un plauso ad alcune soluzioni possibili per far fronte a questo problema.
Il sistema previdenziale italiano è composto da tre pilastri, uno dei quali chiamato PIP (Piani Integrativi Pensionistici), che come ci viene facile da intuire integra la futura pensione.

Tra i vantaggi di questo piano c’è la possibilità, oltre che di accantonare somme di denaro per il futuro, di risparmiare sulle tasse fino ad un massimo di 5164,27 euro all’anno. Questo avviene grazie alla possibilità di dedurre dall’imponibile dello stipendio fino ad un massimo di 430 euro che vengono poi versati in questo fondo pensione che verrà investito su fondi azionari o obbligazionari. Questi fondi però hanno diversi vincoli, infatti possono essere utilizzati solo in parte e per determinate spese, per esempio mutuo o ristrutturazione della casa, spese sanitarie o per motivi familiari. Per avere, invece, un riscatto totale, il titolare deve rimanere disoccupato in modo continuativo per 2 anni o rimanere invalido permanente. L’alternativa per ricevere la pensione integrativa è aspettare che manchino almeno cinque anni dalla pensione di vecchiaia.

Un’alternativa molto più flessibile e utilizzata sono i cosiddetti PAC, ovvero Piani di Accumulo.

Questi piani consentono di accumulare col tempo i vari versamenti effettuati dal titolare (somme decise in modo personale e anticipatamente), e di investirli gradualmente in fondi comuni, ETF, OICR, SGR, Gestioni separate e altri campi, che permettono di far crescere esponenzialmente i propri guadagni per effetto dell’interesse composto. Sono piani che vengono effettuati in un orizzonte di lungo periodo (dai 10/15 anni in su) proprio perché come scopo hanno la possibilità di essere utilizzati sia come integrazione della futura pensione, sia come un salvadanaio per obiettivi futuri, in quanto non essendo vincolati (se non per i primi 2/3 anni) possono essere riscattati totalmente o parzialmente ad una data futura decisa dall’interessato.

In questo mercato enorme di persone che hanno bisogno di aiuto a risparmiare, assicurazioni, banche e istituti privati si stanno muovendo per venire incontro a queste esigenze necessarie.
Ora sta a noi prendere in mano la nostra situazione e il nostro futuro e provare ad assicurarci, dopo una vita lavorativa, una vecchiaia dignitosa e meritata.


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