Arcane e il taciuto abisso del trauma

Se c’è una cosa che ho imparato dagli innumerevoli scambi d’opinione fra amici è che risulta molto più semplice parlare di qualcosa, sia essa un libro, un film o una serie, che non ci ha entusiasmato, rispetto a un prodotto per cui proviamo una certa reverenza. Il tutto si complica quando il “qualcosa” di cui si intende dialogare concerne Arcane, serie da poco sbarcata su Netflix: un’opera che in sé racchiude un universo di tematiche ampissimo, condite da un’animazione magistrale e un character design esemplare. La ragione, quindi, per cui intendo scrivere di questa perla dell’intrattenimento riguarda la sua capacità di illustrare le modalità secondo cui un evento traumatico sappia plasmare la personalità di chi se ne ritrova perseguitato.

Tra i protagonisti di Arcane vi è Powder: una bambina dolce, vittima di una mal celata goffaggine e alla ricerca continua di affetto da parte della sorella, Violet. Da un giorno all’altro, tuttavia, un evento catastrofico decreta la trasformazione del personaggio, il quale si ritrova a vestire i panni di una ragazza violenta, aggressiva, a tratti brutale, incapace di far fronte al dolore di cui la sua interiorità è imbevuta. Non ci si mette molto a intuire l’intento (uno dei tanti, ciononostante il principale) della serie: mostrare come una bambina, la cui dote massima consiste in una genuina fiducia nelle persone che la circondano, possa trasformarsi nella negazione di se stessa.

Powder è cresciuta come poteva con quello che aveva, facendo della sopraffazione il balsamo con il quale curare le proprie ferite. Così come vediamo fiori e piante germogliare su strade foderate d’asfalto, allo stesso modo assistiamo giornalmente al mutare delle peculiarità di ognuno, in virtù o a sfavore del contesto che via via gli si costruisce intorno. Noi non coincidiamo (e soprattutto non ci esauriamo) con l’evento della nascita, ma veniamo modellati dagli episodi e dalle reazioni che decidiamo di manifestare, consciamente o non, rispetto a essi. Negoziamo un posto nel mondo ritenuto adatto all’immagine che abbiamo di noi stessi. Powder, doppiamente abbandonata (prima dai genitori, poi dalla sorella), non può fare a meno di erigere intorno a sé un muro fatto di violenza, depositario di due scopi: ricordare a se stessa la propria natura di bambina cattiva (come si è sempre considerata), e pugnalare la realtà sordida e squallida che si è trovata a dover subire. Nella mia, seppur breve, carriera da educatore, ho fatto in tempo a interfacciarmi con molti bambini, alcuni dei quali mostravano i segni di un’acuta sofferenza, che ne condizionava in modo consistente l’agire, portandoli a comportarsi di riflesso al disordine emotivo in loro vigente. Bambini i cui occhi (avevano altri mezzi?) nascondevano un’apatia dolorosamente schietta.

Non si è sempre in grado di scegliere chi diventare, specialmente quando ci si ritrova ostaggi di un mondo le cui regole ci paiono corrotte e ingiuste. È necessario, pertanto, comprendere che il bambino che siamo stati ha usato tutto ciò che era in suo possesso per crescere integro, e armarsi di quella compassione (intesa nella sua accezione arcaica di “sentire con…”) essenziale a vedere in ciascuno un individuo che, almeno in passato, ha fatto del suo meglio.

Sono infinitamente grato agli sceneggiatori di Arcane per aver dato vita a un’opera capace di rivelare quanto la nostra voce sia in realtà costituita dalla somma di migliaia di echi che riverberano simultaneamente.