Mascolinità femminista: una nuova strada da scrivere

Possono il femminismo e la sfera maschile convivere pacificamente?

Possono il femminismo e la sfera maschile convivere pacificamente? Cosa ci guadagna un uomo ad ascoltare e assorbire i valori femministi? Insomma, c’è qualcosa per i maschi nel pensiero femminista?

Secondo me sì, ma lascerò a voi giudicarlo, raccontandovi cos’è per me il femminismo, quali ricchezze vi ho trovato e perché sono orgoglioso di essere definito femminista.

Innanzitutto, sfatiamo qualche fraintendimento, il femminismo non odia gli uomini, non è l’opposto del maschilismo, non vittimizza le donne e non vuole che siano solo loro a governare. E vorrei chiarire un’altra cosa, femminilità non equivale a essere donne, il sesso e il genere sono cose distinte.

Ora, esporrò il femminismo intersezionale, cioè una delle correnti, tra le più in espansione. Nasce dalla riflessione del femminismo nero e radicale di Angela Davis, Audre Lorde, bell hooks e Maya Angelou, che resistettero al razzismo delle femministe bianche e borghesi americane. Esse riconobbero che il nemico di tutte le lotte sociali è uno solo, cioè una cultura, una struttura di potere, quella piramidale; l’organizzazione verticale della società tra chi domina e chi subisce, chi può e chi deve. Il femminismo intersezionale affronta in prima fila il razzismo e le discriminazioni contro persone disabili, grasse, povere e appartenenti alla comunità LGBTQI+ in una lotta contro ogni forma di “potere su” altre individualità. Fu così che venne proposto il “potere per”, in cui i maggiori privilegi si traducono in responsabilità verso chi quei privilegi non li ha. Che il potere sia imperativo di impegno e ascolto, di sostegno e accettazione verso ogni soggettività.

Questa filosofia incoraggia a riconoscere l’inevitabile parzialità della propria prospettiva rispetto ai problemi sociali. Nessuna intelligenza o perspicacia è in grado di dedurre la pesantezza di una disparità sociale non vissuta in prima persona.

Credo possa essere utile raccontare la mia esperienza per spiegare dove nasce il mio bisogno di rivendicare i valori femministi. Sono cresciuto a San Felice e la mia adolescenza è stata carica di mascolinità tossica. I modelli offerti dai miei pari erano costruiti su valori di una virilità aggressiva e competitiva attraverso la quale imparai presto a rinnegare la delicatezza nei miei modi, le mie gambe accavallate, l’incapacità di fare a botte. Il fantasma dell’essere un effemminato mi inseguiva spingendomi a indurire il volto e negare il mio bisogno di intimità e cura. Imparai a sbeffeggiare e schermarmi dai sentimentalismi, dal romanticismo, dal calore del contatto fisico; appresi come reprimere le lacrime e come simulare la voce virile, imparai a considerare il mio corpo come un’arma priva di fragilità. Disconoscevo la paura e la delicatezza, riproducevo gli insulti verso i corpi non conformi, dimenticando cosa volesse dire chiedere il consenso.

Costantemente perseguitato dal terrore di essere tacciato come gay, frocio, checca, finivo per deridere le debolezze altrui e negare le mie. Il desiderio di conformarmi ed essere accettato mi rendeva aggressivo e omofobo come mai avevo desiderato essere.

Prima ancora che ragionare su come cambiare il mondo il femminismo è una riflessione su come cambiare sé stessə. Come riconoscere e liberarsi di quelle catene in cui tantə di noi sono cresciutə, attraverso la proposta di ragionamenti e prassi riproducibili nella quotidianità. Comportamenti, linguaggi, relazioni su modelli costruiti in quasi tre secoli di riflessioni e ricerche accademiche e di vita quotidiana.

Abbiamo bisogno di ciò, perché il passaggio da maschile a femminile è percepito tutt’ora come una regressione, una svalutazione di sé, come le donne transessuali ci raccontano da tempo. Le possibilità di esprimersi, di esplorare diverse versioni di sé, sono limitate entro uno stretto recinto, costruito sull’opposizione dei valori stereotipici della femminilità. Gli uomini non hanno compiuto alcuna ribellione sistemica contro queste restrizioni, non esistono modelli riconosciuti di virilità che includano la cura, l’empatia, la fragilità come esperienze di valore e affermazione. Possiamo creare idee più larghe di mascolinità che includano i padri che cambiano i pannolini, i mariti che fanno il bucato, i ragazzi che parlano di sentimenti. Ci servono nuove narrazioni da proporre a questi uomini, perché ci si possano identificare senza senso di estraneità. Abbiamo il dovere di aprire nuove strade per le generazioni che verranno, diffondendo la capacità di accettare e ricevere, piuttosto che allontanare. Sta a noi, uomini, sulla base delle esperienze individuali e condivise, scrivere le nuove pagine di chi possiamo essere.


,