Bruno Brunelli, il Sindaco operaio

Intervista al figlio Giancarlo per ricordare il nostro primo cittadino in occasione del 1°Maggio.

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro…” Recita così il primo passo del primo articolo della nostra Costituzione. Il lavoro è spesso al centro della storia dei popoli ed è anche al centro della memoria del nostro Paese.

Il primo maggio, inteso come Festa dei Lavoratori, oltre a essere una giornata riconosciuta a livello mondiale, è uno dei tanti simboli dell’Italia democratica, insieme al 25 aprile e il 2 Giugno. Tre date che, seppur molto ravvicinate, ci danno modo di riflettere sui valori della Democrazia.
L’articolo di oggi è dedicato, non solo a tutti i lavoratori, ma a un uomo che ha fatto la storia di San Felice sul Panaro, e che in qualche modo ha segnato la storia dell’Italia intera, se considerato insieme a tutto quel tessuto sociale di uomini e donne che prima, dopo e durante la Seconda guerra mondiale, si sono responsabilizzati, hanno combattuto, resistito e ricostruito un intero Paese.

Il nostro protagonista è Bruno Brunelli: operaio, partigiano, vicesindaco di San Felice dal 1946 al 1950, successivamente sindaco dal 1950 al 1965 e infine, ancora una volta operaio. Per conoscere la sua storia, una storia d’altri tempi, abbiamo intervistato Giancarlo, suo figlio più piccolo che, senza nascondere la commozione, ci ha parlato di suo padre e di come a distanza di tantissimi anni molte persone lo ricordano ancora come un simbolo di onestà e “politica pulita”.

Giancarlo, tuo padre Bruno è stato vicesindaco nei primi anni della Repubblica, e poi Sindaco dal 1950 al 1965. Quali erano i suoi fondamenti politici? Perché in vent’anni non si è mai tirato indietro?

Mio padre è stato in politica per circa diciassette anni. Di lui posso dire che era uno di quelli che ci credevano veramente, era convinto di poter cambiare le cose, e in tutti quegli anni non si è mai tirato indietro. La politica era la sua vita. Guardandolo a distanza di anni penso che fosse uno di quei comunisti inquadrati, quelli che non ci sono più. Insomma, se avessi parlato male di Stalin, allora ce lo avresti avuto già contro! Al di là delle battute, però, penso che le idee politiche di mio padre, così come tutta la sua vita, si siano sempre basate sull’onestà e sul rispetto degli avversari.

Cosa ricordi degli anni in cui tuo padre è stato sindaco?

Ricordo che per molti anni è stato come non aver mai avuto un padre, perché lui era sempre in Comune a parlare con le persone. Non si poteva mai uscire per fare un giro assieme in paese, perché lo fermava sempre tantissima gente per parlare e lui non diceva mai di no. Abitavamo nel Vicolo Scuole, tra il retro del municipio e Villa Duò. Lui tutte le mattine usciva presto e in pochi secondi era già in ufficio. Altre volte invece andava giù a Roma, ricordo che ci andava molto spesso. Allora era diverso da oggi, la mentalità era un’altra, anche a livello politico. Per esempio, una delle cose migliori di mio padre era il suo rapporto con gli avversari, con cui litigava sempre, ma coi quali, allo stesso tempo, contraccambiava profondo rispetto, tanto che tra i suoi più cari amici c’erano persone che avevano idee politiche molto diverse dalle sue, come Don Paradisi, Riccardo Pelati e Omero Rebecchi. Lui era un “mangiapreti”, questo è vero, ma era anche la dimostrazione che prima della politica vengono gli uomini.

Brunelli era conosciuto per essere stato prima operaio, poi sindaco e una volta finito il mandato, di nuovo operaio. Si è trattato di una scelta o di altro?

In realtà non è stata una scelta, ma un momento di grandissima sofferenza, anche perché lui ha sempre dedicato tutta la sua vita alla politica e al suo paese. Quando stava per finire il suo ultimo mandato nel 1965, si sapeva già che avrebbe vinto il centro-sinistra, e difatti così fu. Negli ultimi mesi da sindaco però ci furono delle incomprensioni per cui si creò una frattura dentro al partito, che gli voltò le spalle. Ricordo ancora benissimo l’ultimo consiglio comunale di mio padre, ricevette il plauso di tutti quanti, che si alzarono in piedi davanti all’enorme sforzo che aveva portato avanti per la comunità in diciassette anni. Gli unici a non farlo furono “i suoi”. Da allora e fino alla morte non fece mai più la tessera del partito. Non voleva più saperne niente, non ne parlava mai. Diceva sempre “rimango comunista, ma perché io torni nel Partito bisogna prima sistemare alcune cose”. Dopo il mandato ritenne la sua esperienza conclusa e tornò a fare l’operaio con grande umiltà e senza rimorsi. Tornò da Candrini, azienda di manutenzione stradale dove lavorava già prima di diventare sindaco, per poi finire di lavorare alla Rilus. Mi sento di dire però che quegli anni da Sindaco non li abbia rimpianti per niente al mondo, e che se fosse tornato indietro nel tempo lo avrebbe rifatto, così come avrebbe rifatto anche l’operaio. Tante volte in famiglia si era aperta l’ipotesi che lasciasse la politica anche perché allora il sindaco guadagnava poco più di un riconoscimento, ma lui non mollò mai. Ricordo che quando finì la carica, eravamo pieni di debiti perché campavamo con le sue 16mila lire al mese, quando invece un normale operaio era in grado di prenderne anche 50 o 60mila.

Bruno Brunelli è stato anche partigiano durante la Resistenza. Ne parlava mai?

Sì è vero, mio padre è stato partigiano. Lui fece la resistenza a Montefiorino, sull’Appennino modenese. Ricordo bene che ricevette anche una medaglia al valore per aver partecipato alla Resistenza, però in famiglia non ne parlava molto, diceva solo che c’era la guerra e che si combatteva per fermarla.

Quali principi ti ha trasmesso tuo padre?

Sia per me che per mio fratello, nostro padre è stato esempio vivente di correttezza, onestà e uguaglianza. Quando ero bambino e mio padre era ancora Sindaco del Paese, a ogni festività, e in particolar modo a Natale, arrivavano a casa pacchi di ogni tipo, che però non hanno mai varcato il nostro ingresso, perché lui rispediva tutto al mittente. Ci diceva sempre che noi non eravamo meglio di nessun altro e che non meritavamo di essere trattati diversamente. Anche in teatro avevamo i posti riservati in qualità di famiglia del primo cittadino, però mio padre non ci ha mai permesso di andarci, perché diceva che se il figlio di un operaio non aveva la possibilità di andare al cinema, noi non eravamo certo migliori di lui. Insomma, avevamo i posti riservati a teatro, ma in quasi vent’anni ci saremo andati al massimo una decina di volte. Nonostante tutto, quando cessò l’attività politica, fu attaccato da una vile campagna denigratoria che lo portò anche a processo, perché accusato di “non pagare il servizio SEFTA”. Nonostante tutto, alla fine venne dichiarato innocente. Al di là di questo, la cosa più importante che ho imparato da mio padre è stata che, anche se si è avversari in politica, o se più semplicemente si hanno idee diverse da quelle altrui, ciò non toglie che bisogna sempre ricordare di avere davanti una persona. Se ripenso a quei giorni, mi sembra quasi di aver fatto parte di un film di “Don Camillo e Peppone” dove comunisti e cattolici si sbranavano in consiglio comunale e poi appena usciti giocavano a briscola.

Le parole di Giancarlo sono profonde e piene di nostalgia nei confronti di chi, prima di essere stato un sindaco, è stato un padre, un lavoratore e un uomo con grandissimi valori. Per concludere l’articolo dedicato a Bruno Brunelli, “il sindaco operaio” di San Felice, abbiamo deciso di estrapolare parti di alcuni articoli di giornale scritti in suo onore:

“Bruno è stato il sindaco di tutti. Non faceva differenza fra i suoi compagni, iscritti al Partito Comunista, e altri cittadini che con il partito non avevano nulla a che fare. Trattava tutti nella stessa maniera con lo stesso rispetto”.

Edmondo Sabattini in “Bruno Brunelli: il sindaco di tutti” dal giornale del PDS “Via Mazzini”

“Brunelli era un figlio generoso della sua epoca. Aveva imparato dal Partito Comunista Italiano che i lavoratori, che tutti i cittadini, per liberarsi, per affermare degli elementari diritti di vita, hanno bisogno di lottare di non chinarsi mai, di rivendicare i loro diritti con costanza e tenacia. Insomma, aveva imparato ad avere il sereno orgoglio di chi lotta per una causa giusta”.

Mario Girotti in “Bruno Brunelli: il sindaco di tutti” dal giornale del PDS “Via Mazzini”

“Bruno amava ripetere di se stesso di rappresentare i più umili, i più deboli, ed era vero. Li difendeva e li aiutava sempre. Erano anni molto duri per tutti. Era passata da poco una guerra terribile che aveva portato tanti caduti e procurato tante sofferenze, ma aveva anche finito per impoverire chi già stava male. Chi era povero, se possibile, stava ancora peggio: la fame la faceva da padrona in tante famiglie di braccianti operai”.

Lelio Dall’Olio in “Bruno Brunelli: il sindaco di tutti” dal giornale del PDS “Via Mazzini”

“Bruno Brunelli è stato sempre, come primo cittadino del paese, uomo rispettoso delle idee altrui, disponibile, di poche parole e molti fatti, onesto e laborioso. Da non dimenticare che fu pure un valoroso combattente. Cessati i suoi quindici anni alle redini del paese, tornò al lavoro, alla famiglia, al rapporto cordiale con gli amici molto provato dalla sofferenza nell’ultima parentesi della sua vita. Fu sindaco in un periodo non facile, ed è anche e soprattutto per questo che ho desiderato ricordarlo come uomo e come amico”.

Dall’articolo di Riccardo Pellati sul n.2 di Settembre 1997 di Appunti Sanfeliciani


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