Da Franca Viola al massacro del Circeo: come è cambiata negli anni la legge contro la violenza di genere

Breve sinossi storica del rapporto tra legge e violenza sessuale.

“Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. Così recitava l’articolo 544 del Codice penale fino al 1981, quando l’articolo sopra riportato fu abrogato con l’art. 1 L. 5/8/1981, n. 442.

L’articolo descrive, dal punto di vista giuridico, quello che l’opinione pubblica ha definito “matrimonio riparatore”. La rilevanza dell’articolo 544 del c.p. non è secondaria, soprattutto se considerata in relazione alla parallela nascita ed evoluzione dei movimenti femministi italiani. Leggendo attentamente il testo dell’articolo emergono con prepotenza due elementi estranei all’odierno valore giuridico del matrimonio; il primo emerge chiaramente direttamente dalle parole stesse, ed è il valore amnistitico del matrimonio, mentre il secondo, più celato tra le linee dell’articolo, è il rimando al matrimonio riparatore come elemento di risanamento anche a livello morale.

Il valore amnistitico del matrimonio riparatore si riferisce alla possibilità che, in caso di stupro o di violenza sessuale di qualsiasi tipo, dinanzi al reato compiuto, l’autore materiale del misfatto possa essere prosciolto da tutte le accuse “riparando” l’onore della vittima (e della famiglia), sposando la vittima appunto. Inutile soffermarsi sulle sofferenze fisiche e psicologiche delle persone costrette a vivere con i loro stupratori.

Il valore “riparatore” della pratica in questione è dirompente e sconvolgente, poiché impone una considerazione morale, e non ontologica, della vittima. Cosa significa? Poiché il matrimonio riparatore ristabilisce l’onore e la rispettabilità di chi ha subito -si noti bene, è sempre la vittima ad essere riabilitata, non l’aggressore- allora si evince da sé che lo stupro non è un crimine contro la persona, ma un oltraggio alla morale, che lo stupro offendeva i costumi sociali, non offendeva un essere umano. Violentare una donna non significava commettere un crimine contro un essere umano ma contro il “buon costume”.

Oggi, nonostante il numero inaccettabile di violenze che le donne continuano a subire tra le mura domestiche, sul posto di lavoro e in ambienti privati, la situazione normativa che regola il matrimonio e lo stupro sono profondamente cambiate. Tre date e due donne hanno reso possibile questo cambiamento.

È il 26 dicembre 1965 e ad Alcamo, in Sicilia, la diciassettenne Franca Viola viene rapita, malmenata e violentata da Filippo Melodia, nipote del boss mafioso Vincenzo Rimi. In modo consono alla prassi dell’epoca, Melodia si offre di sposare Franca Viola per ristabilire l’onore della di lei famiglia (la cosiddetta “paciata”). Ecco che, dinanzi alla prospettiva di sposare il suo stupratore, Franca denuncia il suo aggressore per sequestro di persona e si rifiuta di sposarlo. Il processo, tenutosi nel 1966 a Trapani, si concluse con la condanna di Melodia a undici anni di reclusione (ridotti poi a dieci), più due anni di soggiorno obbligatorio a Modena, dove fu poi assassinato nel 1978. La vicenda di Franca Viola fece sollevare l’opinione pubblica italiana e attirò l’attenzione delle istituzioni, tant’è che il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat le inviò, nel 1968, un regalo di nozze (Franca si sposò con Giuseppe Ruisi) per manifestare la sua vicinanza alla giovane siciliana. Tuttavia, l’esperienza e il coraggio di Franca Viola rimasero un unicum.

È il 30 settembre 1975 e a San Felice Circeo, nel Lazio, è appena stato svelato quello che la collettività conoscerà come “il massacro del circeo”, con il salvataggio di Donatella Colasanti e il ritrovamento del cadavere di Rosaria Lopez, con evidenti segni di violenza. Le due donne erano state rapite, picchiate, torturate e stuprate da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira (che morirà latitante nel 1994).

Data la complessità del caso e l’ancora vigente legge sul matrimonio riparatore, la Colasanti ebbe difficoltà a trovare un legale rappresentante finché Tina Lagostena Bassi, avvocata di fama nazionale, decise di occuparsi del processo. L’eco mediatico non tardò ad arrivare, grazie anche all’intervento di diverse associazioni femministe. Il processo, tenutosi nel 1978 e trasmesso dalla RAI (primo processo per violenza sessuale trasmesso e sul quale la stessa RAI produrrà un documentario), si concluse con la condanna degli imputati (Ghira fu condannato in contumacia) ma, sorprendentemente, non fu la sentenza al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica.

Tina Lagostena Bassi attirò a più riprese l’attenzione sull’atteggiamento dei giudici, a suo parere troppo remissivi nei confronti della difesa la quale, nel tentativo di screditare la figura della vittima superstite, misero in discussione la moralità della stessa, invocando il matrimonio riparatore, sino ad arrivare a utilizzare termini offensivi e diffamatori nei suoi confronti: tuttavia la presenza delle telecamere in aula ebbe l’effetto di far prendere coscienza della necessità di un cambiamento repentino. La Bassi affermò: «Ricordo che la gente era sconvolta, perché nessuno immaginava realmente quello che avveniva in un’aula giudiziaria, dove la giustizia era altrettanto violenta degli stupratori nei confronti delle donne. Era una violenza… uno proprio la sentiva, materialmente».

Si accese l’attenzione del pubblico sulla discriminazione che la giustizia stessa esercitava nei confronti delle vittime di violenza sessuale, le quali, oltre che aver subito un abuso, dovevano anche lottare per evitare di sposare il loro stesso carnefice.

Grazie all’eco mediatico che ebbe il “massacro del Circeo”, la legislazione italiana iniziò a muovere i primi passi verso una vera e propria civilizzazione del diritto in ambito di violenza sessuale: nel 1981, come indicato in principio, venne abrogato l’art.544 del Codice penale (mutuato dal Codice Rocco del 1930) mettendo fine alla possibilità, da parte degli aggressori, di invocare il matrimonio riparatore. È il 15 febbraio 1996 e, con la legge n.66, lo stupro, così come ogni forma di violenza sessuale, cessa di essere un crimine contro la morale e diviene, per la legge, un crimine contro la persona, poiché questa viene coartata nella sua libertà sessuale.

La legge italiana è riuscita, anche se con estrema difficoltà e con tempi alquanto lunghi, a eliminare ogni forma di tutela nei confronti di coloro che commettono violenza, soprattutto sessuale, nei confronti di qualsiasi altra persona. Nonostante questo, gli episodi di violenza contro le donne non cessano di aumentare. Perché?

Il cambiamento legislativo vi è stato, le associazioni femministe si sono ampliate, eppure tutto ciò ancora non è sufficiente. Finché di una donna che denuncia un abuso ne verranno messi in dubbio gli atteggiamenti, l’abbigliamento e l’estrazione sociale, finché una donna dovrà avere coraggio per denunciare un abuso, poiché non si sente tutelata dalla società in cui vive, finché un uomo può sentirsi in diritto di non rispettare le volontà proprie di una donna, poiché si sente superiore, ecco che non vi è legge che possa contrastare la violenza su queste ultime, poiché questo è, prima ancora che un fatto giuridico, un fatto culturale e sociale.