La Russia sovietica e le sue politiche genocidarie

Dai kulaki all’Holodomor ucraino: storia dei genocidi in epoca stalininista.

La storia della Russia leninista e stalinista è segnata dalla violenza. Nelle intenzioni di Lenin e del Partito, il “terrore” ricalcato su quello francese di oltre un secolo prima avrebbe dovuto proteggere il popolo dai nemici della nazione, rigenerare la società ed eliminare ogni residuo ritenuto dannoso: l’approdo finale del ragionamento è l’eliminazione fisica del “borghese” in quanto nemico, sabotatore e cancro della società. In effetti, sotto Lenin l’ondata di terrore causò un numero altissimo di vittime, ma fu con il governo di Stalin che le politiche genocidarie sovietiche raggiunsero l’apice.

Uno dei primi grandi stermini che si possono attribuire a Stalin, quello dei contadini (kulaki), è la naturale evoluzione delle politiche leniniste che, con una repressione spietata e una spaventosa carestia manovrata a regola d’arte, fecero milioni di vittime nelle zone rurali tra il 1918 e il 1922. A partire dai tardi anni Venti, i kulaki divennero i nemici dichiarati del popolo: bastava essere contadini benestanti, possedere un po’ più di rispetto di altri, essere una figura di riferimento per la propria comunità o essere religiosi osservanti; chiunque avrebbe potuto essere un kulak. La nuova crisi agricola, iniziata nel 1928, fu l’occasione per rivangare il terrore di massa e iniziare la caccia a un milione e ottocentomila kulaki russi: di questi si stima che 1/3 morì, gli altri vennero deportati o riuscirono a nascondersi. In genere i kulaki venivano presi a forza di violenze e saccheggi; le case venivano bruciate e loro caricati sui treni in cui, in condizioni assolutamente spaventose, sarebbero stati deportati al Nord. Si stima che il 20% delle vittime morisse proprio durante questi viaggi, che si concludevano talvolta abbandonando direttamente nella taiga i prigionieri. Un dato che rende l’idea di cosa siano state le deportazioni viene da un rapporto interno del partito che segnalava che su 6.100 persone “insediate” in un’unica soluzione nella Siberia occidentale a fine aprile 1933, ad agosto dello stesso anno ne erano sopravvissute 2.200 e vi furono casi di cannibalismo.

Sicuramente le politiche genocidarie di Stalin arrivarono a un apice con l’Holodomor: la carestia provocata ad arte in Ucraina nel 1932 e 1933. Un evento ancora oggi relativamente poco conosciuto nonostante la sua atrocità. La carestia iniziò nel 1932 e toccò il suo apice nella primavera del 1933, mietendo, si stima, tra i quattro e i sette milioni e mezzo di vittime. Il termine “genocidio” è assolutamente pertinente siccome la carestia non fu dovuta a una crisi dei raccolti o al sovrappopolamento, ma solo ed esclusivamente alle decisioni di Stalin e del gruppo dirigente sovietico. Innanzitutto, nel 1932 vennero mantenute per il territorio ucraino alte quote di requisizione (ovvero, la parte del raccolto da dare allo Stato) e, anzi, aumentate: i “prelevamenti” non solo portavano via i raccolti ma anche le sementi, gli alimenti in genere e il bestiame, il tutto costellato da episodi di violenza. In agosto venne quindi varata la “legge delle spighe” che prevedeva la morte per chi cercasse di sfamarsi col grano non ancora mietuto, e impediva con la forza ai contadini di recarsi nelle città per cercare di sopravvivere, e di comperare il pane. Vennero contemporaneamente aumentate ulteriormente le quote di grano da requisire nelle campagne ucraine e venne vietato alle fattorie di distribuire cibo agli agricoltori fino al raggiungimento delle quote di requisizione.

Le conseguenze furono orrende: milioni di morti, specialmente bambini, cadaveri per le strade, epidemie, villaggi abbandonati, episodi di cannibalismo; coloro che venivano trovati per strada erano presi e chiusi a morire dentro vagoni ferroviari o aree recintate. Nell’autunno del 1933 Stalin, raggiunto l’obiettivo dell’eliminazione di buona parte degli ucraini, pose fine alle politiche di requisizione. La decisione dei dirigenti russi di creare una carestia di portata spaventosa all’Ucraina è derivata da una precisa intenzione di colpire il popolo in quanto tale: un popolo allora vitale, relativamente ricco e molto legato alla propria identità. Proprio per la sua prosperità in campo economico e culturale il territorio ucraino divenne il bersaglio delle politiche di Stalin, volte a fare di quelle zone il modello perfetto di società sovietica.

Per tutti gli anni Trenta e con il sopraggiungere della guerra nei primi anni Quaranta altre minoranze vennero deportate in modo simile a quanto accaduto ai kulaki: tra queste si ricordano i 950.000 tedeschi che nel 1941 vennero deportati, in condizioni spaventose, in Kazakistan. Anche lettoni, polacchi, finnici furono bersagliati da queste politiche. In particolare, tra il 1939 e il 1941 vennero deportati 1,5 milioni di polacchi in Siberia o in Asia: solo 613.000 di questi sopravvissero (il 41% circa), gli altri morirono o scomparvero.

I primi venticinque anni di vita della Russia sovietica furono perciò teatro di veri e propri stermini, dei quali l’Holodomor è stato riconosciuto come tale. Intanto, si preparava, nella Germania nazista, quello che poi sarebbe stato riconosciuto come il genocidio per antonomasia, l’Olocausto.


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