Il genocidio armeno

Analisi del primo genocidio dell’età moderna, avvenuto tra il 1915 e il 1916.

Tra il 1915 e il 1916 si consumò il primo genocidio, propriamente detto, dell’età moderna. Un popolo composto in gran parte da contadini cristiani, con una forte identità culturale: gli armeni, stanziati nelle provincie orientali dell’Impero ottomano. Dalla metà dell’Ottocento a causa dell’arrivo di milioni di profughi di guerra musulmani, della crisi interna dell’impero e dell’imposizione dell’identità islamica in tutti i territori ottomani, il popolo armeno cominciò a essere il bersaglio di una feroce campagna denigratoria da parte del governo, suscitando anche l’ostilità delle popolazioni.

Già tra il 1894 e il 1896 si hanno testimonianze dei primi massacri, che causarono tra le 200.000 e le 250.000 vittime; l’elevato numero di profughi e la devastazione dilagante provocarono la scomparsa di centinaia di villaggi. Questi eccidi rimasero del tutto impuniti, dando la certezza agli artefici di poterli perpetrare senza doverne rendere conto a nessuno. Fino alla Prima guerra mondiale l’Impero ottomano continuò a essere investito dalla crisi e a perdere territori; al contempo si rafforzò l’ideologia nazionale su base musulmana. Gli armeni, a quel punto, erano ormai rimasti l’unica minoranza nell’impero, alla mercé dello Stato ottomano.

Il vero e proprio genocidio avvenne nel 1915: la tremenda sconfitta subita a Sarıkamış fornì al governo ottomano dei Giovani Turchi il pretesto per iniziare le operazioni di deportazione di tutto il popolo armeno. Inizialmente vennero arrestati, deportati o uccisi i principali esponenti della comunità armena, i maschi in età da lavoro e i membri dell’esercito. Una volta che la comunità armena fu privata dei membri in grado di proteggerla, si diede il via alle deportazioni di massa. La Legge temporanea di deportazione del maggio 1915 diede una parvenza di legalità all’intera operazione, che vide il trasferimento della popolazione armena verso i campi di concentramento costruiti in Siria e Mesopotamia.

Gli armeni catturati venivano uccisi sul posto oppure costretti a viaggi penosi fino alla destinazione, e che comunque raggiungevano in pochissimi: lungo il viaggio i deportati erano gettati nei fiumi, uccisi sommariamente, falcidiati dalle malattie, dalla fatica e dalla mancanza di acqua e cibo. Durante il viaggio venivano appositamente scelti itinerari proibitivi, i predoni erano liberi di saccheggiare gli averi dei deportati e perpetrare ogni tipo di violenza. Di 18.000 persone partite da Sivas ne rimanevano meno di 500 all’arrivo ad Aleppo, così come da Harput giunse un’altra carovana che contava 213 deportati ancora in vita contro i 5.000 partiti.

I sopravvissuti a queste marce venivano internati in campi di concentramento in attesa che il processo di selezione naturale li finisse o venendo massacrati senza troppi indugi. Alla fine del 1915 nella penisola anatolica non c’erano più armeni: del milione e mezzo che la abitava, una minoranza era fuggita mentre la maggior parte era stata sterminata. Come in ogni evento del genere è difficile fare una stima delle vittime, che comunque si aggirerebbe tra 600.000 e 1.200.000 persone.

Uno dei paradossi dell’annientamento armeno fu che, nonostante sia stato commesso sotto gli occhi del mondo, venne a lungo dimenticato. Nell’Impero ottomano del 1915 erano presenti gli osservatori di Stati neutrali e militari tedeschi e austriaci, i quali raccontarono ciò che stava avvenendo al resto del mondo. Nonostante ciò, di questo massacro non se ne parlò più, sia perché gli alleati non riuscirono a imporre allo Stato turco di condurre un processo efficace, sia perché il governo di Mustafa Kemal concesse nel 1923 l’amnistia generale per coloro che si erano macchiati delle peggiori violenze. Solo nel 1973 l’ONU riconobbe il genocidio armeno come tale, seguito dal Parlamento Europeo nel 1987.

Oggi è chiaro oltre ogni dubbio che il genocidio armeno del 1915-16 fu attentamente e consapevolmente pianificato: fu uno sterminio programmato e attuato metodicamente al preciso scopo di eliminare fisicamente e culturalmente un popolo. La Turchia non ha mai riconosciuto questa versione: ammise che ci furono centinaia di migliaia di morti ma imputò queste perdite alla disorganizzazione, a operazioni maldestre o alla resistenza degli armeni stessi agli ordini. Inoltre, da parte turca si disse che gli armeni, in realtà, non erano un popolo, che si stava dando retta solamente alla loro versione e si gettò la colpa dei massacri di armeni sugli armeni stessi e sul loro atteggiamento, che alimentava legittimi sospetti; i turchi avrebbero avuto razionali motivi per temerli.

Tutte giustificazioni che non reggono la prova dei fatti e dei documenti: il genocidio fu un progetto di ingegneria sociale che voleva eliminare il “cancro” armeno dalla nazione permettendole, in accordo con le teorie ispirate al darwinismo sociale dell’epoca, di scatenare tutta la propria forza vitale e prevalere sui popoli più deboli. L’entrata in guerra dell’impero fornì l’occasione e la giustificazione ultima per eradicare il “nemico interno” dalla nazione. Questo primo genocidio fu seguito, negli ottant’anni successivi, da una scia di altri stermini; già pochi anni dopo l’Unione Sovietica preparò e attuò una serie spaventosa di massacri.


,