L’Olocausto: il genocidio per antonomasia

Storia e approfondimento sullo sterminio degli ebrei perpetrato dalla Germania nazista.

Lo sterminio degli ebrei d’Europa nei primi anni Quaranta del Novecento è riconosciuto oggi come il genocidio per antonomasia: 5 milioni di vittime tra il 1941 e il 1945. Un evento tanto noto quanto inspiegabile: ogni tentativo di inscrivere l’Olocausto in un disegno compiuto è riuscito a svelare solo una parte del tutto. Com’è stato possibile che la Germania, all’epoca il riferimento culturale d’Occidente e uno dei Paesi più progrediti al mondo, abbia fatto ciò che ha fatto? Di chi fu la responsabilità? Di Hitler, dei suoi seguaci o dell’intero popolo tedesco e dei suoi alleati? Quali furono le ragioni profonde dietro un genocidio che appare irrazionale e privo di senso, da qualunque lato lo si guardi? Nessuna di queste domande, ad oggi, ha una risposta.

Il Partito nazionalsocialista tedesco vinse le elezioni del 1933 senza menzionare, se non in modo vago, la questione ebraica; del resto, l’atteggiamento della popolazione tedesca fu ambiguo nel corso del tempo, sostenendo misure discriminatorie come le Leggi di Norimberga, ma disapprovando azioni violente. Hitler, dal canto suo, aveva manifestato le sue idee antiebraiche fin dall’inizio del suo impegno politico, inserendole in un universo di darwinismo sociale e misticismo.

Tra la “semplice” decisione di discriminare gli ebrei in quanto tali e quella di procedere a uno sterminio totale c’è un “gap” difficile da spiegare: da un lato c’è chi sostiene che nelle idee di Hitler e dei suoi più ferventi seguaci fosse contemplato fin dall’inizio uno sterminio di massa, come naturale deriva della loro ideologia, dall’altro che, invece, si arrivò alla risoluzione di eliminare fisicamente gli ebrei relativamente tardi, non prima dell’invasione tedesca dell’Est Europa (tra il 1939 e il 1941) in cui vivevano milioni di ebrei, da “sistemare” in qualche modo. Certamente durante il nazismo degli anni Trenta ci fu una spiccata politica antiebraica, il cui punto di arrivo, però, non è mai stato chiarito: troppo ambiguo e contraddittorio il comportamento del regime e di Hitler prima degli anni 1940-41.

La concezione degli ebrei come parassiti, infezioni per la nazione tedesca e le altre nazioni del mondo, dai quali ci si doveva liberare a ogni costo, era alla base dell’ideologia hitleriana. Fino a un certo punto, però, questa liberazione dagli ebrei non era associata necessariamente all’eliminazione fisica: per un certo periodo, una delle soluzioni proposte dai gerarchi nazisti, presa fra l’altro piuttosto sul serio, era quella di creare una “riserva ebraica” in Madagascar, dove deportare tutti gli ebrei d’Europa.

Furono le vicissitudini della guerra che comportarono il raggiungimento del punto di non ritorno nell’estate/autunno del 1941, quando fu chiaro alle truppe tedesche che l’unico modo per sbarazzarsi degli ebrei nelle zone occupate era eliminarli. Si procedette con i primi massacri di ebrei nelle regioni dell’Est, che diedero ai tedeschi la consapevolezza di poter agire indisturbati, magari aiutati dalle popolazioni locali. Anzi, proprio nell’Est Europa le popolazioni locali mostrarono un notevole grado di crudeltà e propensione ai massacri di ebrei: i pogrom, sorti spontaneamente o promossi dai tedeschi, furono diffusi e spietati. Per avere, però, l’Olocausto che conosciamo manca un ultimo, fondamentale tassello.

Fino alla fine del 1941 l’eliminazione fisica degli ebrei nell’Est Europa da parte tedesca consisteva nel rastrellamento degli ebrei dai villaggi, nel condurli in un luogo appartato nei boschi, costringerli a scavare una fossa e quindi fucilarli. Un metodo che fece 1,4 milioni di vittime, ma che tuttavia era troppo lento, costoso e poco pratico: si doveva accelerare. Così, già a inizio del 1942 si costruirono i primi campi di sterminio in Polonia (tra i quali Birkenau, Treblinka e Sobibór) e la rete logistica per portarvi le vittime e “sbarazzarsene” il più velocemente e asetticamente possibile. Dopo un periodo di sperimentazione e perfezionamento, la macchina dello sterminio iniziò a funzionare a pieno regime, fino alla caduta del Reich nel 1945.

L’Olocausto oggi è ricordato come la quintessenza del genocidio, ma con la caduta del Nazismo non si fermò la spirale di brutalità nel mondo. Le politiche di sterminio sovietiche continuarono almeno fino al 1949; allo stesso modo fu un genocidio la vicenda della Cambogia sotto Pol Pot tra il ‘76 e il ‘79; all’inizio degli anni Novanta, poi, nella ex-Jugoslavia e in Ruanda si consumarono stragi di portata spaventosa. Ci furono anche tutti quegli eventi che pur non essendo stermini in senso proprio, furono massacri di proporzioni vastissime, come il bombardamento atomico in Giappone; la Guerra del Vietnam; le politiche repressive del regime di Videla in Argentina e quello di Marcus nelle Filippine e altro ancora.

Sono argomenti difficili, su cui memoria e Storia si confondono, sui cui tanto si è speculato e di cui tanto si è detto, spesso impropriamente. È necessario distinguere sempre i fatti dalle opinioni, la Storia dai racconti. Di fronte a questo mi sento di concludere citando Primo Levi che, proprio in riferimento all’immane e incomprensibile tragedia dell’Olocausto, scrisse: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.”


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